miércoles, 26 de abril de 2017

Gli anticorpi (inaspettati) che salvano le democrazie dai populisti

Gli anticorpi (inaspettati) che salvano le democrazie dai populisti

L’ondata populista non è stata sconfitta. Ma il voto di Parigi e le ultime elezioni europee potrebbero dimostrare che nel corpo delle democrazie esistono ancora parecchi robusti anticorpi

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Quando ha entusiasticamente ringraziato i «patrioti francesi» e salutato l’inizio di una nuova era, Marine Le Pen non ha ricordato il padre, fondatore del movimento politico di cui la figlia è oggi leader. Forse i rapporti, dopo la feroce rottura del 2015, sono ancora pessimi. Forse un cenno al padre l’avrebbe costretta a ricordare che la prima conquista del secondo turno, per un esponente del Front National, ebbe luogo nel 2012 quando il veterano delle guerre di Indocina e di Algeria riuscì a scavalcare Lionel Jospin, leader del partito socialista, con un punteggio leggermente migliore, in termini proporzionali, di quello conquistato domenica da sua figlia. In una gara a tre con il presidente uscente (Jacques Chirac) e il primo ministro (Jospin), Jean-Marie Le Pen aveva incassato tre punti meno di Chirac e 5 decimi più di Jospin. In una gara a due con Emmanuel Macron, Marine ha ottenuto quasi quattro punti meno del suo maggiore avversario. Non è tutto. Il padre è arrivato al secondo turno in un momento in cui i due maggiori partiti politici della società francese (gollisti e socialisti) godevano ancora di un seguito popolare. Marine conquista il secondo turno in una fase in cui gollisti e socialisti hanno perso una buona parte del loro vecchio prestigio. Dopo il clima di sovraeccitazione con cui è stata ovunque commentata l’irresistibile ascesa dei movimenti populisti, era parso lecito prevedere per Marine Le Pen un risultato migliore. Ma forse la colpa di quel clima è almeno in parte nostra. Dopo la vittoria di Trump nelle elezioni americane e la maggiore visibilità dei partiti anti-sistema in tutte le maggiori democrazie occidentali, abbiamo ceduto alla tentazione di interpretare questi fenomeni come evidenti segnali di un generale declino delle democrazie occidentali e abbiamo trascurato altri segnali, più rassicuranti. Trump ha vinto grazie al ruolo decisivo degli Stati nel sistema federale americano, ma i voti conquistati da Hillary Clinton superano di tre milioni quelli dell’avversario. In Spagna, nelle elezioni del giugno 2016, i popolari di Mariano Rajoy hanno migliorato le loro posizioni e Podemos, alleato della Sinistra radicale, ha avuto meno voti di quanti ne avessero presi i due partiti quando si presentavano separati. Nelle elezioni presidenziali del dicembre 2016 gli austriaci hanno preferito il candidato dei Verdi a quello del partito nazionalista che fu per parecchi anni di Jörg Haider. In Olanda il primo ministro Mark Rutte ha battuto il populista Geert Wilders con uno scarto pari all’8% del voto. In Germania i populisti di Alternative für Deutschland, dopo qualche successo nei Länder, si stanno radicalizzando, ma non saranno seguiti dalla loro leader, Frauke Petri, favorevole a una posizione più conciliante. All’origine di questi ripensamenti anti-populisti vi è probabilmente l’Europa. L’uscita dall’euro, vale a dire la principale bandiera sventolata negli scorsi anni dai partiti anti-sistema, suscita interrogativi sulle modalità e sulle conseguenze a cui gli euroscettici non sanno dare risposte convincenti. Per una sorta di legge del taglione l’argomento che aveva favorito l’ascesa si ritorce contro di loro e li rende oggi poco affidabili. Ne abbiamo avuto una prova negli scorsi giorni quando abbiamo constatato che Marine Le Pen ha preferito denunciare la globalizzazione piuttosto che continuare ad agitare il drappo rosso della Commissione di Bruxelles. L’ondata populista non è stata sconfitta ma il voto di Parigi e le ultime elezioni europee potrebbero dimostrare che nel corpo delle democrazie esistono ancora parecchi robusti anticorpi.
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